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Al Covo dei Beati Paoli

Al Covo dei Beati Paoli - Palermo

Al Covo dei Beati Paoli

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Descrizione di Al Covo dei Beati Paoli

Sulla scorta delle scarse fonti storiche che ci sono pervenute, non possiamo esprimere un giudizio certo su questa setta che sicuramente esistette, ma le cui vicende oscillano tra realtà e leggenda.

Sembra che la società segreta dei “Beati Paoli”, la cui origine risale al 1185 e che più volte si sarebbe rinnovata operando in Sicilia e altrove, nascerebbe dallo strapotere e dai soprusi dei nobili che, in virtù del Mero e Misto Imperio, amministravano direttamente anche la giustizia criminale nei loro stati e molto spesso si servivano di bravacci per risolvere alla svelta quei casi che ragioni di opportunità o prudenza consigliavano di non far ufficialmente decidere alle loro corti.

Questa società segreta sarebbe anche originata dalla carenza del “Braccio della Giustizia” amministrato dallo stato, quasi sempre al servizio dei potenti.

Di fronte a tale stato di cose, il popolo cercava di farsi giustizia con le proprie mani, non una giustizia individuale e quindi debole, ma amministrata invece da un organismo collettivo che agiva nell’ombra e con la massima segretezza.

Furono giustizieri o sicari i componenti di questa setta? Certamente l’uno e l’altro contemporaneamente.

Giustizieri quando operavano per vendicare delitti impuniti ed impedire soprusi.

Sicari quando, invece, si prestarono ad eseguire vendette personali, o allorché si servirono dell’alone di mistero che li circondava e dell’indubbio favore popolare per compiere delitti comuni.

A nostro avviso non è da ricercarsi alcun collegamento storico tra la setta dei Beati Paoli e la Mafia intesa come società segreta, ove si pensi che quest’ultima ha un’origine agraria connessa al disintegrarsi della struttura feudale dell’Isola, avvenuta all’inizio del XIX secolo quando ormai la setta dei Beai Paoli era da tempo scomparsa.

Si può invece ammettere che nella setta dei Beati Paoli ci sia stata la presenza del sentimento mafioso inteso come un sentimento medievale di colui che crede di poter provvedere alla tutela ed alla incolumità della persona e dei suoi averi, indipendentemente dall’azione dell’autorità e della legge, sentimento che si accentua nella cosiddetta omertà, per cui si ritiene come primo dovere di un uomo quello di farsi giustizia con le proprie mani dai torti ricevuti.

Il motivo per il quale i componenti della setta si chiamassero “Beati” è alquanto incerto; anche se da un racconto popolare raccolto a Borgetto leggiamo che «a st’omini ci davano stu titulu pirchì eranu tutti omini ca facianu li divoti, lu jiornu, pri putiri sapiri megghiu li cosi chi succidianu, javano vistuti comu monaci di san Franciscu di Paola e si stavano ‘ntra li chiesi a dir lu rosariu (pri finzioni); la notti poi facianu cunciura di zoccu avianu vistu e avianu saputu, e ordinavanu li vinnitti» (a questi uomini davano tale titolo in quanto erano tutti uomini che si mostravano devoti; il giorno per meglio potere apprendere i fatti che succedevano, andavano vestiti come monaci di san Francesco di Paola e stavano nelle chiese fingendo di recitare il rosario; la notte poi complottavano su ciò che avevano visto e saputo e ordinavano le vendette).

Secondo antichi racconti, il luogo di riunione dei componenti la setta dei Beati Paoli fu identificata in una cavità sotterranea (o grotta) esistente nel quartiere del Capo in prossimità della chiesa di Santa Maria di Gesù, detta anche “Santa Maruzza” o “dei canceddi” essendo essa un tempo appartenuta ad una confraternita di conduttori da Basto che per caricare le merci usavano grossi cesti detti “canceddi”.

La chiesa è ancora oggi esistente e prospetta sulla piazza di San Cosmo e sul vicolo degli Orfani.

La grotta dei Beati Paoli non è più accessibile in quanto, da tempo, ne sono stati murati gli ingressi, tuttavia la situazione generale dei luoghi è poco mutata. A dire di alcuni abitanti del Capo sino a qualche tempo fa si poteva penetrare anche in altre cavità vicine.

La fantasia popolare ritenne e ritiene ancora che ogni cavità esistente nel sottosuolo della città sia stata utilizzata dai componenti della società segreta.

Fantasie che trovano un giustificabile sostegno nella presenza nella zona Nord-Ovest del territorio palermitano di vastissime cave di pietra coltivate in galleria che rendono in buona parte vuoto ed anche percorribile il sottosuolo.

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